Vogliamo mappare e raccontare l’Italia Femminista
per contribuire alla conoscenza del femminismo, nel suo significato teorico-pratico più ampio e plurale, attraverso i luoghi e le persone che lo vivono nel nostro territorio.
Gioia libera tuttə
è un desiderio, una ricerca, uno studio. Un percorso (de)formativo, ampio e aperto, fatto di incontri culturali e laboratori creativi, online e offline, per condividere teorie e pratiche del femminismo. Perché, come scrive bell hooks, la lotta femminista è gioia liberatrice!
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Un sogno di CCT-SeeCity
L’idea è sbocciata nel 2023 come progetto di CCT studio che dal 2009 si occupa di Comunicazione per Cultura e Territorio. In questo caso, cultura femminista nel suo significato più ampio e plurale.
Scopri il loro pensiero
Cultura femminista
Luci Cavallero, Verónica Gago
[...] La sperimentazione del sindacalismo sociale che mescola la questione degli affitti e del lavoro, delle pensioni e dell'economia popolare, con quella degli abusi sessuali e della violenza del lavoro, ha la sua matrice nel femminismo. Non è un caso che oggi nelle sedi di molti sindacati compaia la frase di Silvia Federici: "Non è amore, è lavoro non pagato". Rovesciando la gerarchia del riconoscimento del lavoro non pagato, si rovescia anche la responsabilità del debito: il debito è dello Stato, dei padroni e del patriarcato, per essersi tutti approfittati di questo lavoro storicamente obbligatorio e non pagato. Le forme di evasione, di denuncia della femminizzazione della povertà e di depredazione generalizzata, della precarietà del lavoro e di ogni esistenza, pongono degli interrogativi. Domandandoci come si sciopera dalle finanze e contro le finanze, ci chiediamo anche di cosa siano fatti i nostri debiti e chi siano quelli che accampano dei diritti sulle nostre esistenze. Femminicidi e travesticidi non sono estranei rispetto a questa geografia del capitale che impone, qui e là, forme ogni volta più violente di depredazione e sfruttamento. Affermare che "il debito è con noialtre" capovolge i ruoli in campo: ci riconosce in quanto creditrici e fa sì che l'inchiesta sul debito e la disubbidienza rispetto a questa condizione abbia inizio a partire dalle case e dalle strade. | Dal saggio Vive, libere e senza debiti! (Ombre Corte, 2020) di Luci Cavallero (1082) e Verónica Gago (1976), due studiose femministe argentine, entrambe insegnanti alla Facoltà di Scienze sociali dell'Università di Buenos Aires.
Françoise D’Eaubonne
Rosi Braidotti
Carla Lonzi
Mary Wollstonecraft
Gloria Steinem
Angela Balzano
Simone de Beauvoir
«Non si nasce donna, lo si diventa». Questa era una delle idee centrali del Secondo sesso. Trent'anni dopo, mantiene questa formula? La mantengo interamente. Tutto ciò che ho letto, visto, imparato in questi trent'anni mi ha completamente confermata in quest'idea. Si costruisce la femminilità, così come del resto si costruisce la mascolinità, la virilità. Ci sono stati molti studi interessantissimi di psicanalisti, di psicologi o di altri, per dimostrare questo fatto. In particolare, il libro di un'italiana, Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, che ha mostrato in modo molto dettagliato, partendo dall'esperienza di una donna che ha lavorato in scuole materne o presso giovani madri, che l'educazione del bimbo e della bimba è diversa sin dai primi anni. Differisce ad esempio il modo di allattare il bambino, il modo di trattarlo. E poi, quando diventa un po' più grandicello, non gli si parla nello stesso modo, gli dicono: «Un maschietto deve fare così» oppure: «Una bambina deve fare cosà», e così via. Questo libro spiega benissimo come si costruisce la femminilità che ci viene presentata come una specie di istinto e di dato di fatto, e come si fabbrica pure la mascolinità. Quando un maschietto di cinque-sei anni vuole cucinare, gli viene detto: «Non spetta a te farlo, è un lavoro da femminuccia». Di conseguenza, la società influenza sin dai primi giorni il bambino, maschio o femmina, in modo da farne, partendo da lì, conformemente alle esigenze della nostra civiltà odierna, un uomo che sia ciò che chiamano un uomo, e una donna che sia ciò che chiamano femminile. Perciò, credo assolutamente che ci sono profonde differenze tra gli uomini e le donne, a svantaggio delle donne, del resto, in linea di massima: in linea di massima perché ci sono alcune rare eccezioni. Queste differenze non provengono dalla natura maschile o femminile, ma dall'insieme culturale. Ci credo sempre di più. | Tratto da Conversazione con Simone de Beauvoir di Pierre Viansson-Ponté per Le Monde, 10 e 11 gennaio 1978, nella raccolta di testi della filosofa francese Simone de Beauvoir (1908-1986) a cura di Claude Francis e Fernande Gontier Quando tutte le donne del mondo... (Einaudi, prima edizione 1982; ultima ed. 2019)
Il Canzoniere Femminista
Non Una di Meno
- formazione in materia di prevenzione della violenza di genere, mediazione dei conflitti ed educazione alle differenze per insegnanti, educatori ed educatrici;
- revisione dei manuali e del materiale didattico adottati nelle scuole di ogni ordine e grado e nei corsi universitari, perché la scuola non contribuisca più a diffondere una visione stereotipata e sessista dei generi e dei rapporti di potere tra essi;
- abolizione della Legge 107/15 e della riforma Gelmini e apertura di un processo dal basso di scrittura delle riforme di scuola e università, che preveda anche la rimodulazione dei contenuti e dei programmi;
- finanziamenti pubblici e strutturali per i settori settore dell’educazione, della formazione e della ricerca, dal nido all’università.
- Formazione delle operatrici curata dei Centri Antiviolenza (CAV), che hanno una mission specifica basata sul diritto di scelta, consenso e autodeterminazione delle donne;
- Formazione delle figure professionali coinvolte nel percorso di fuoriuscita dalla violenza delle donne, come insegnanti, avvocati e avvocate, magistrati e magistrate, educatori ed educatrici ecc.);
- Formazione a chi lavori nei media e nelle industrie culturali, per combattere narrazioni tossiche e promuovere una cultura nuova;
- Formazione nel mondo del lavoro contro molestie, violenza e discriminazione di genere, con l’obiettivo di fornire strumenti di difesa e autodifesa adeguati ed efficaci.
- L’obiezione di coscienza nel servizio sanitario nazionale lede il diritto all’autodeterminazione delle donne, vogliamo il pieno accesso a tutte le tecniche abortive per tutte le donne che ne fanno richiesta;
- Chiediamo la garanzia della libertà di scelta delle donne attraverso la promozione della cultura della fisiologia della gravidanza, del parto, del puerperio e dell’allattamento e che la violenza ostetrica venga riconosciuta come una delle forme di violenza contro le donne che riguarda la salute riproduttiva e sessuale.
- Siamo contrarie alle logiche securitarie nei presidi sanitari: riteniamo inadeguati e dannosi interventi di stampo esclusivamente assistenziale, emergenziale e repressivo, che non tengono conto dell’analisi femminista della violenza come fenomeno strutturale e vogliamo équipe con operatrici esperte
- Vogliamo consultori che siano spazi laici. Politici, culturali e sociali oltre che socio-sanitari. Ne promuoviamo il potenziamento e la riqualificazione attraverso l’assunzione di personale stabile e multidisciplinare. Incoraggiamo l’apertura di nuove e sempre più numerose consultorie femministe e transfemministe, intese come spazi di sperimentazione, auto-inchiesta, mutualismo e ridefinizione del welfare.
Rivolta Femminile
Kimberlé Crenshaw
Il punto è che le donne nere possono subire discriminazioni in molti modi e la contraddizione nasce dall'ipotesi che le loro denunce di emarginazione debbano essere unidirezionali. Si può fare un'analogia con il traffico a un incrocio, che va e viene in tutte e quattro le direzioni. La discriminazione, come il traffico che passa da un incrocio, può fluire in una direzione e in un'altra. Se si verifica un incidente proprio all'incrocio, può essere causato da auto che viaggiano da un numero qualsiasi di direzioni e, talvolta, da tutte. Allo stesso modo, se una donna di colore subisce un danno perché si trova all'incrocio, la sua ferita potrebbe derivare dalla discriminazione sessuale o dalla discriminazione razziale. | Dall'articolo Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination (University of Chicago Legal Forum, 1989) in cui la docente di legge, statunitense nera e femminista Kimberlé Crenshaw (1959) usa la metafora dell'incrocio stradale (intersection in inglese) per descrivere il sistema di oppressioni subito dalle donne nere. Questa l'origine del concetto di intersezionalità.
Olympe de Gouges
Alessandra Chiricosta
[...] La violenza di genere, lungi dall'essere un istinto, è indotta da una logica di riconoscimento sociale tra uomini nelle ideologie patriarcali. L'esercitare forme di violenza su di un corpo inferiorizzato, come quello femminile, rafforza, dunque, lo status nelle gerarchie androcentriche. Per questo, si potrebbe suggerire, la violenza sessuata aumenta d'intensità nel momento in cui la tenuta di queste gerarchie, come modello organizzativo, politico di relazione, viene messo in discussione. [...] Combattere il mythos della forza virile è arte belligerante che, come i movimenti delle Amazzoni, deve saper disegnare cartografie nuove, muoversi in terreni scomodi e preclusi attraverso movimenti non previsti agendo in direzione di una radicale modificazione di scenari perché mosse da una forza di altro genere. Muovere guerra alla guerra significa allora attraversare la guerra in maniera inedita, combattere guerre situate tra le guerre, o nella pace apparente, ridefinire il senso, i modi, i parametri che definiscono ciò che è guerra. Autrici femministe hanno in varia misura utilizzato in maniera non conforme il termine guerra, sottraendolo al monopolio della forza virile e militarizzata. Più che ravvisare in questo uso straniante del termine null'altro che una metafora, si vede all'opera un taglio più radicale, che toglie forza all'egemonia della militarizzazione patriarcale, le sottrae armi e ridefinisce confini e modi dei conflitti. Una guerra di altro genere, basata sul genere è in atto, ma non da quando le femministe hanno preso voce e parola, come sostengono i fautori della forza virile, bensì da quando la militarizzazione è stata naturalizzata come dimensione ineluttabile e origine stessa delle nostre cosiddette civiltà, allorché si è deciso di operare una categorizzazione degli appartenenti alla specie umana - e non solo - sulla base di differenze sessuate, di attribuire valori specifici a soggetti in accordo con tale divisione, concepita dicotomicamente come necessità di affermazione del soggetto unico su ciò che fuoriesce da questa norma. In questo conflitto, dalle molte forme e dalle molte teste, diverso senso assumono parole quali militare e guerriera. [...] | Dal libro Un altro genere di forza (Iacobelli, 2019) della filosofa, esperta in studi di genere, Alessandra Chiricosta (1974)
Brigitte Vasallo
Se spostiamo l'attenzione dal numero di persone coinvolte alle dinamiche relazionali, la questione si rivela molto più interessante. Non solo perché è inutile continuare a pensare alle nostre vite private come a piccole riduzioni della autenticità essenziale primordiale, indipendenti da ogni influenza ed estranee a qualsiasi costruzione, ma anche perché porre l'accento sulle dinamiche relazionali ci permette di visualizzare le nostre interazioni con il mondo a partire da un'esperienza non monogama, rendendo la nostra esperienza d'amore collettiva uno strumento di trasformazione politica. Poniamo le prime basi di una nuova definizione. La monogamia non è una pratica: è un sistema, una forma di pensiero. È una sovrastruttura che determina ciò che chiamiamo la nostra 'vita privata', le nostre pratiche sesso-affettive, le nostre relazioni amorose. Il sistema monogamo decide come, quando, chi e in che modo amare e desiderare, e anche quali circostanze sono causa di tristezza, quali di rabbia, cosa ci fa male e cosa no. Il sistema monogamo è una ruota che distribuisce privilegi sulla base dei legami affettivi ed è, inoltre, un sistema per organizzare quei legami. Come li organizza, e a partire da quali elementi? Il sistema monogamo genera una struttura gerarchica che pone i legami riproduttivi al vertice della scala. Dunque la coppia eterosessuale, se vogliamo semplificarla così, è l'asse principale, seguita dalla consanguineità e, in terzo luogo, dai legami affettivi non consanguinei. Vale a dire che il nucleo centrale e più importante - l'amore più amore di tutti - e la coppia riproduttiva e la sua discendenza, il secondario è il resto della famiglia (di sangue), e il terziario le amicizie. Per privilegiare questi vincoli a discapito di altri, il sistema monogamo mette in atto tutta una serie di meccanismi che stabiliscono la superiorità (amministrativa, emotiva, etica) di specifiche forme di relazione, in modo tale che vengano considerate migliori in termini assoluti. Questo modo di apprendere le relazioni e i legami determinerà come ci sentiamo di fronte ad alcuni vincoli piuttosto che ad altri. Un esempio: la stragrande maggioranza delle persone in Europa convive con un'altra persona. Non farlo è un'eccezione vista come un fallimento vitale, una faglia nel sistema. Ci sono pochi esempi di vita in comune al di fuori di questo schema. Neanche l'architettura è preparata in questo senso, e le case e gli appartamenti sono costituiti da una camera doppia per la coppia e da camere singole per i bambini. Le auto hanno due posti davanti (mamma e papà) e le moto hanno due posti (per te e la tua tipa). E così via, all'infinito. Come si ottiene questa centralità e superiorità del nucleo riproduttivo rispetto ad altri legami non riproduttivi? Attraverso tre meccanismi, che non sono gli unici, ma sono essenziali per il funzionamento del sistema: la connotazione positiva dell'esclusività, la congiunzione dell'identità e il potenziamento della competitività e del confronto. Cominciamo con lo scomporre la riproduzione guardando quale carico simbolico ha anche su coloro che scelgono di non riprodursi. | Non è l'esclusività, ma la gerarchia dal libro Per una rivoluzione degli affetti. Pensiero monogamo e terrore poliamoroso (effequ, 2022) della scrittrice e attivista femminista spagnola Brigitte Vasallo (1973)
Chiara Bottici
Silvia Federici
[…] le conquiste delle donne non sono mai date una volta per tutte. I processi di ristrutturazione che interessano il lavoro di riproduzione nel presente passano anche per un attacco aperto al diritto di aborto. Lo vediamo in modo conclamato in Europa: [...] e in Italia, dove il crescente ricorso all'obiezione di coscienza riduce di fatto il diritto delle donne ad abortire. È chiaro che il capitalismo neoliberale ha riscoperto l'importanza della chiesa e della religione per mascherare i suoi interessi reali. E così fa appello alla morale, al diritto alla vita - che è veramente una farsa nel mondo in cui viviamo. Anche negli Stati uniti la possibilità di abortire è sempre più in pericolo. Soggetta a mille restrizioni che si moltiplicano da stato a stato, costringe le organizzazioni femministe a un grosso dispendio di energie per frenare questo attacco continuo. Come si può impedire tutto questo? Io credo che la cosa essenziale sia non separare la lotta per l'aborto dalla lotta per il controllo sul nostro corpo, che è molto più ampia e oltrepassa anche il terreno della procreazione. È fondamentale vedere che oggi nella politica neoliberale, nella politica del capitalismo internazionale, non è tanto l'aborto in sé che conta, quanto il controllo sulla riproduzione. Non dobbiamo dimenticare che la stessa classe capitalistica che oggi cerca di limitare l'aborto è quella che in anni molto recenti organizzava i safari della sterilizzazione in India, Indonesia; quella che continuamente inventa contraccettivi (come Norplant e gli IUD) che le donne non possono controllare. Non solo. È chiaro, guardando alle leggi approvate da vari stati negli Usa, che la cosiddetta difesa della vita serve a criminalizzare le donne povere che si azzardano ad avere figli, al punto che, come è stato scritto recentemente, la gravidanza oggi negli Stati uniti pone una donna povera, soprattutto se di colore, fuori dalla costituzione. Sterilizzazione e criminalizzazione dell'aborto sono parte di una stessa logica che pone nelle mani dello stato il corpo delle donne e il processo della procreazione, considerato come meccanismo che determina la grandezza e qualità della forza lavoro a livello mondiale. In altre parole, la questione non è una faccenda di pura quantità e ovviamente tanto meno di moralità. La questione è a chi spetta decidere chi deve/può venire al mondo su questo pianeta: una decisione che gran parte della classe capitalistica, oggi, tanto quanto al tempo della caccia alle streghe, è determinata a non lasciare nelle mani delle donne. La sfida per noi è non ripetere lo sbaglio che tante femministe hanno fatto negli anni Settanta, quando si tendeva a identificare la battaglia per l'aborto con quella per il controllo sopra il nostro corpo, isolando quindi il diritto ad abortire dalla rivendicazione della possibilità di avere figli alle condizioni che determiniamo e dalla questione del lavoro a cui siamo costrette per sopravvivere. Un discorso analogo a quello sull'aborto può essere fatto anche per la famiglia. Mentre i politici insistono sulla sua centralità, la politica economica mina le condizioni materiali della sua riproduzione. La precarizzazione del lavoro, i salari congelati hanno messo in crisi la famiglia più di quanto non abbia fatto il rifiuto delle donne della domesticità. E se - almeno negli Stati uniti - non si assiste a un salto in avanti nel numero dei divorzi è solo perché le coppie non hanno i mezzi per la pratiche burocratiche, e semplicemente si separano. Si insiste però a livello istituzionale sulla famiglia perché essa serve ancora ad assorbire i costi della riproduzione della forza lavoro, tanto più in tempo di crisi. E mentre le sue risorse si assottigliano sempre di più, è la stessa famiglia a cambiare. Crescono in modo esponenziale quelle con a capo delle donne, si afferma la famiglia con partner dello stesso sesso e cresce anche il numero di quelle non unite da legami di parentela. Credo che, soprattutto per le donne, quest’ultima sia una buona opzione, considerato il livello di violenza a cui sono esposte nell'ambito della famiglia. Come devono attrezzarsi le donne nei confronti dei rapporti famigliari e della violenza che le vede oggetto? La prima cosa è creare reti di supporto e autodifesa. È intollerabile che ogni giorno donne vengano massacrate da mariti, compagni e magari anche figli, che non accettano la loro autonomia. La vita matrimoniale sta diventando per le donne un lavoro rischioso che le espone a molta violenza. E questo deve cessare. Rimane poi il fatto che la famiglia nucleare è un'istituzione che ci espone a una crisi permanente, perché crea aspettative difficilmente realizzabili e impone carichi di lavoro insostenibili che gravano soprattutto sulle donne. La costruzione di beni comuni e rapporti sociali più ampi, più solidali, ha anche questo scopo: superare l'alternativa che ci è posta tra una famiglia che (come il sindacato) ci sostiene (anche se sempre di meno) ma troppo spesso ci soffoca e una vita di solitudine. È a partire dal rifiuto di queste alternative e sopratutto dal rifiuto dell’impoverimento e della violenza a cui si cerca di condannarci, che comincia la nostra rivoluzione. Come provo a mostrare in questo libro, oggi un femminismo radicale deve operare su vari fronti, ma senza mai limitarsi a una pratica puramente difensiva. La ricostruzione del tessuto sociale, la determinazione di nuovi rapporti di solidarietà capaci di procurare subito, nel presente, nuove risorse e nuovi rapporti sociali, sono la prima condizione non solo per la sopravvivenza ma anche e soprattutto per aprire un processo di riappropriazione della ricchezza e per recuperare il controllo sui mezzi della nostra riproduzione. Abbiamo davanti un lavoro immenso, se si pensa alle condizioni disastrate - ambientali, economiche, sociali - in cui siamo costrette a vivere. Dall'educazione alla salute, all'ambiente, alla costruzione di nuove forme di (ri)produzione. Si può davvero dire che dobbiamo mettere il mondo sottosopra, perché la bancarotta del sistema capitalistico è tale che ormai da esso ci si può aspettare solo crisi, miseria e violenza. | Brooklyn, febbraio 2014. Dall'introduzione della filosofa Silvia Federici (1942) all'edizione italiana de Il punto zero della rivoluzione (Ombre Corte, prima edizione 2014, seconda ed. 2020) che raccoglie suoi saggi elaborati nel corso di quattro decenni, sulle lotte delle donne e sulla questione della riproduzione sociale.
Bianca Pomeranzi
Monique Wittig
Audre Lorde
Virginia Woolf
Chandra Talpede Mohanty
[...] Molte delle idee che ho espresso in questo volume sono ancorate alle esplorazioni oltre i confini nazionali e delle comunità in lotta che ho intrapreso soffermandomi, in particolare, sulle lotte delle donne nel mondo. Sono consapevole che la decolonizzazione, la critica anti-capitalistica e le lotte femministe per la giustizia assumono contorni specifici a seconda del luogo, dello spazio e delle storie di dominio contro cui combattono e spero che i lettori italiani troveranno queste analisi utili. Dato l'effetto devastante delle politiche economiche e sociali neoliberiste in Europa, la necessità di sollevare le questioni del razzismo e della giustizia economica nella "fortezza Europa" - specialmente per le donne migranti che lavorano in Italia - l'intensa lotta contro la privatizzazione dell'istruzione universitaria, la necessità per il lavoro teorico femminista di pensare in modi nuovi e profondamente contestualizzati le alleanze e la solidarietà, e l'importanza strategica di resistere alle alleanze aziendali e politiche tra Europa e Stati Uniti così come di contrastare le pratiche imperiali nordamericane, suggeriscono tutte l'urgenza di un progetto femminista antirazzista, anticapitalista e postcoloniale tanto in Italia quanto negli Stati Uniti. Credo che parte dell'impegno del femminismo teorico contro il colonialismo, l'imperialismo e il capitalismo - di un femminismo che riflette sull'"identità, la casa e la comunità" e sulla giustizia, sulla sorellanza e sulla solidarietà, sulla privatizzazione dei servizi pubblici e sull'aziendalizzazione delle istituzioni tra cui quelle dell'istruzione superiore e il loro impatto sulla vita delle donne - possa viaggiare attraverso i confini delle nazioni ed essere tradotto in modo contestuale nella realtà italiana. Forse questa traduzione potrà offrire così alle femministe italiane modi nuovi e produttivi di pensare ed organizzarsi attraverso i confini. [...] | Dall'introduzione all'edizione italiana di Feminism withpurd borders / Femminismo senza frontiere (Ombre Corte, 2020; prima ed. 2012) di Chandra Talpede Mohanty (1955), originaria di Mumbai, India ma di base a New York, Stati Uniti dove insegna Women’s e Gender Studies.
Michela Murgia
Alma Sabatini
bell hooks
Donna Haraway
Emma Goldman
Rita Laura Segato
Chimamanda Ngozi Adichie
Djamila Ribeiro
Porpora Marcasciano
Leslie Kern
Lea Melandri
Rachele Borghi
Márcia Tiburi
Emmeline Pankhurst
Vogliamo mappare e raccontare l’Italia Femminista
per contribuire alla conoscenza del femminismo, nel suo significato teorico-pratico più ampio e plurale, attraverso i luoghi e le persone che lo vivono nel nostro territorio.